non mi sento tanto bene

di Pat Carra

All’improvviso la satira finisce sotto la luce dei riflettori, una luce così abbagliante che si perdono ombre e sfumature.
Fioccano le definizioni: la più alta forma di libertà di espressione, lo spirito di Voltaire, il meglio della libertà occidentale, eredità dell’illuminismo e via dicendo.
All’improvviso non mi sento tanto bene.
Ma come? in Italia il berlusconismo ha tagliato lingue e mani, in senso figurato naturalmente, chiudendo programmi televisivi, censurando rubriche, emettendo denunce, provocando una triste inclinazione all’autocensura, ma non per questo si sono mobilitati i difensori della democrazia e dei diritti. Fortuna che fin dall’antica Grecia la satira sa sviluppare la sua resistenza, perlopiù lontana dalla scena illuminata e dai pagamenti.
Chi fa satira si assume il rischio di uno scontro con chi detiene il potere, che sia un potere basato su soldi, eserciti o muscoli, ammantato di prestigio, consenso familiare o politico. È proprio questo che incanta, l’emozione di agire da una posizione di debolezza che nel gioco si capovolge in forza, in una baldanza infantile e disarmata. Sottolineo: disarmata.
Dopo la strage della redazione di Charlie Hebdo c’è stato chi, cominciando dal Financial Times, ha fatto intendere che quella fine se la siano cercata. In realtà, chi fa satira “se la va sempre a cercare”, nel senso che desidera provocare conseguenze, nel migliore dei casi creando un salto di coscienza attraverso un piacere, la risata.
Questo era certamente lo spirito originario di Charlie Hebdo, ma devo ammettere che la frase pronunciata dal direttore Charb “preferisco morire in piedi che vivere in ginocchio” mi suona stonata, non sono le parole di un umorista. Mi chiedo come sia arrivato a questa posizione e come mai abbia proseguito in un’escalation.
Nel 2011, intervistata con altri vignettisti dopo l’incendio nella sede della rivista, avevo dichiarato la mia distanza da quella che mi appariva una sfida fallica, qui e là nello stile viscerale di Oriana Fallaci.
D’altra parte, che alcune vignette possano risultare offensive fa parte del gioco e dipende da molte variabili, non ultima il senso dell’umorismo dell’oggetto di satira e del pubblico.
La percezione è che quelle vignette fossero conformi a una posizione e presunzione di potere, culturale e politico. Davvero Wolinski, Charb, Tignous credevano ai grandi nemici islamici?
Non mi sento tanto bene.
Sento una compassione rabbiosa verso i morti, rabbia per la rivendicazione astratta del diritto di satira. Prima di essere un diritto è una scelta soggettiva, cosciente/incosciente del rischio e del piacere che ne deriva. Il caso di Putin che manda in Siberia le Pussy Riot è illuminante sul pericolo. Non è la politica dei diritti che ha permesso alla specie della donna e uomo ridentes di sopravvivere.
Per i buffoni era necessaria una prossimità con la corte, una conoscenza dall’interno, per limitare e scardinare i deliri del potere. I buffoni e le donne che ridono hanno sempre rischiato molto. Nelle moderne democrazie, siamo buffoni in modo diverso, ma nell’essenza l’arte è sempre quella e il suo intento è svelare che il re è nudo.
Dopo gli avvenimenti di Parigi l’informazione mediatica si è concentrata nelle mani dei poteri costituiti. Si è diffuso un messaggio delirante: il Grande nemico islamico dichiara guerra all’Europa facendo una strage di disegnatori satirici.
In una Parigi fantascientifica vediamo sfilare sugli schermi uomini coperti da passamontagna o caschi alla Dart Fener, il lato oscuro della forza di Guerre Stellari. Ondate emotive ci inchiodano ai social network e a dirette che non finiscono mai.
Assistiamo al lancio e diffusione dello slogan Siamo tutti Charlie e Je suis Charlie su cartelli, spillette, t-shirt e merchandising.
Il popolo del fumetto comincia a oscillare tra la paura e il delirio di onnipotenza. Siamo noi i paladini e le paladine della libertà occidentale? Come mai non ce l’avevano mai detto? Ora possiamo oscillare tra povertà e martirio, disoccupazione e gloria postuma.
Accusiamo un leggero stordimento, insieme al lutto. La nostra matita ci appare all’improvviso sotto forma di arma che sfida le mitragliatrici. Si disegnano torri gemelle a forma di matite, inchiostro come sangue e via così.
All’improvviso siamo potenziali eroi e eroine, e quel mondo editorial-giornalistico che con la scusa della crisi sempre più spesso non paga le vignette o magari le censura, dichiara incondizionata ammirazione per questa nobile arte.
Seguo il filo della satira per raggiungere il retroscena di questo avanspettacolo bellico. Per ritrovare il rovescio dell’apparenza. So che noi, beffeggianti e satireggianti, siamo infantili e sprovveduti. Siamo un po’ allocchi e allocche.
È paradossale che una rivista satirica sia diventata la bandiera della libertà nelle mani del potere costituito. Non si addice al nostro mestiere la retorica eroica e pomposa, che è al contrario l’oggetto delle nostre sfide. Eppure il primo effetto della tragedia di Charlie Hebdo è stato un fall out di retorica, cioè di menzogne. Dalle pagine dei fumetti ci si ritrova scaraventati sulle pagine della parata militare maschilista e della onnipotenza democratica.
La narrazione è falsa: come se Don Chisciotte, creato da Cervantes in carcere, si trasformasse in bandiera dei Crociati invece che restarne l’alter ego satirico. Come se il re incoronasse il buffone, il patriarca si affidasse alla donna che ride, l’inquisitore santificasse la strega. Come se non ci fosse più niente da ridere.
La storia non funziona così.
Il mondo del fumetto non cadrà in questa trappola, non passerà dalla sua sottile e malinconica umanità alla retorica della pulsione di morte, gonfia di armi e di paranoia.
Dopo l’11 settembre la Nato e gli Stati Uniti hanno scatenato guerre in nome della libertà femminile, bombardando paesi e distruggendo antiche civiltà con la scusa strumentale di liberare le donne dal burqa.
Dopo il 7 gennaio sventola la bandiera della libertà di espressione. Devo aspettarmi un drone che bombarda la scrivania per liberarmi dalla censura e dai lavori sottopagati?

Milano, 14 gennaio 2015

Pubblicato su Aspirina Parigina

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